Appello
E' il mezzo di impugnazione concesso dalla legge alla parte per chiedere la riforma totale o parziale di un provvedimento del giudice che essa ritiene ingiusto.
Sono appellabili, nel termine perentorio di 30 giorni dalla notificazione della sentenza ad opera della controparte (termine breve: artt. 325 e 326 c.p.c.), ovvero, in mancanza di notificazione, nel termine di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza (termine lungo: art. 327 c.p.c.), tutte le sentenze pronunciate in primo grado. Prima della riforma del 2009, il termine era di un anno, sempre decorrente dalla pubblicazione della sentenza.
La riforma del 2009 — modificando l'art. 285 c.p.c. e aggiungendo all'art. 330 c.p.c. la notifica ai sensi dell'art. 170 c.p.c. — ha disposto che la notificazione della sentenza, al fine della decorrenza del termine per l'impugnazione si fa, su istanza di parte, mediante consegna al procuratore costituito, ovvero alla parte, se costituitasi personalmente, di una sola copia anche se il procuratore rappresenta più parti: prima della riforma, dovevano essere notificate tante copie quante erano le parti in causa, anche se tutte rappresentate dal medesimo difensore. La disposizione si applica ai giudizi instaurati dopo il 4-7-2009, data di entrata in vigore della L. 69/2009.
Per effetto delle novità apportate dal D.Lgs. n. 40/2006, sono appellabili anche le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità ex art. 113 c.p.c., comma 2, (ossia, le controversie il cui valore non supera 1.100 euro, salvo quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi mediante formulari, ex art. 1342 c.c.), ma soltanto per violazione delle norme sul procedimento (ad esempio, le norme sulla competenza), per violazione di norme costituzionali o comunitarie o dei principi regolatori della materia (si tratta dei principi ricavabili dalle norme che disciplinano una determinata materia e dei principi che regolano il singolo rapporto dedotto in lite).
Sono, invece, inappellabili le sentenze pronunciate secondo equità ex art. 114 c.p.c. (quando il giudizio concerne diritti disponibili delle parti e queste ne fanno concorde richiesta) e quelle per le quali le parti si sono accordate ad omettere l'appello; sono altresì inappellabili le sentenze che hanno deciso una controversia individuale di lavoro o in materia di previdenza e assistenza obbligatoria di valore non superiore a venticinque euro e ottantadue centesimi, nonché le sentenze dichiarate non appellabili dalla legge.